COVID-19, Israele da “Paese modello” al più colpito dalla pandemia: il secondo lockdown sta funzionando?
Israele e COVID-19. Cosa è successo tra il primo e il secondo lockdown? E la nuova chiusura totale sta funzionando? Ecco i primi dati.
Israele è stato per mesi, insieme all’Italia, uno dei Paesi da prendere come esempio per il modo in cui è riuscito ad affrontare la prima fase della pandemia di COVID-19, ma da qualche settimana a questa parte qualcosa è cambiato: i casi non soltanto hanno ripreso a salire, ma hanno toccato vette mai raggiunte dalla prima ondata al punto da costringere il Paese ad un nuovo e duro lockdown di almeno tre settimane e l’introduzione di un sistema a semafori che punta a regolare al vita dei cittadini, a seconda dei contagi nelle varie aree del Paese, per molte settimane a venire.
Cosa è successo in questi mesi? Sono stati commessi degli errori che rischiano di venir compiuti anche da Paesi come l’Italia, che ad oggi sembra uno dei Paesi che meglio sta gestendo la cosiddetta seconda ondata della pandemia di COVID-19?
Israele, la situazione a 3 settimane dal secondo lockdown
(aggiornamento 8 ottobre 2020)
A tre settimane di distanza dall’avvio del secondo lockdown in Israele – e due settimane dall’ulteriore stretta decisa dal primo ministro Benjamin Netanyahu – è tempo di fare un bilancio un po’ più completo sull’andamento dell’epidemia di COVID-19.
Se al 28 settembre risultavano 200 pazienti COVID ricoverati in terapia intensiva nel Paese, nel corso dei giorni successivi il numero è salito e oggi, 8 ottobre, le persone in terapia intensiva sono 236, in lento e costante aumento ormai da giorni. I decessi quotidiani, aumentati subito dopo l’avvio del lockdown come conseguenza delle due settimane precedenti, non sono ancora tornati a scendere e si attestano da giorni tra i 35 e i 50 ogni giorno. I decessi, va da sé, sono la conseguenza di numerosi giorni di ricovero ospedaliero e qualche giorno in terapia intensiva, quindi per veder scendere quei numeri c’è bisogno ancora di qualche giorno, forse anche qualche settimana.
È sceso, e sembra continuare a scendere salvo qualche eccezione come il 4 e il 7 ottobre, il numero dei nuovi positivi accertati di giorno in giorno, che nelle ultime 24 ore sono stati 4.717:
- 2 ottobre 2020: 5.430 nuovi casi e 11 decessi
- 3 ottobre 2020: 5.523 nuovi casi e 49 decessi
- 4 ottobre 2020: 2.332 nuovi casi e 37 decessi
- 5 ottobre 2020: 5.534 nuovi casi e 38 decessi
- 6 ottobre 2020: 4.717 nuovi casi e 40 decessi
- 7 ottobre 2020: 4.455 nuovi casi e 27 decessi
Il lockdown totale, intanto, è stato esteso per un’altra settimana e, salvo ulteriori proroghe, il ritorno alla semi-normalità dovrebbe partire il 18 ottobre prossimo, tra dieci giorni.
Nel grafico qui sotto, diffuso dalle autorità sanitarie di Israele, in celeste è indicato l’andamento delle terapie intensive, mentre in verde è indicato l’andamento dei decessi:
(il dato dell’8 ottobre è da considerarsi incompleto: la pagina ufficiale del governo israeliano dedicato al COVID-19 viene aggiornata più di una volta al giorno e quei dati si riferiscono alla mattina di oggi, 8 ottobre 2020, e i decessi non sono ancora stati conteggiati).
La prima ondata della pandemia ad Israele
Il primo caso di COVID-19 in Israele è stato confermato il 21 febbraio 2020, una tempistica del tutto simile all’Italia se si esclude il caso dei due turisti cinesi trovati positivi al nuovo coronavirus alla fine di gennaio. Una cittadina in arrivo dalla nave Diamond Princess in Giappone è risultata positiva al COVID-19 durante un controllo allo Sheba Medical Center, il più grande ospedale di Israele.
Il primo risultato di quella positività è stata l’introduzione dell’obbligo di isolamento domiciliare di 14 giorni per tutte le persone che avevano visitato la Corea del Sud e il Giappone, così come quelle in arrivo da quei due Paesi. Da lì, nel corso delle settimane successive, restrizione dopo restrizione, si è arrivati alla dichiarazione dello stato di emergenza il 19 marzo e all’inasprimento delle misure di contenimento dei contagi: scuole e università chiuse, dure limitazioni ai trasporti e obbligo per i cittadini di non allontanarsi oltre 100 metri dalle proprie abitazioni se non per una serie di motivazioni che andavano dal lavoro all’acquisto di beni di prima necessità, così come motivi di salute, manifestazioni (seppure con grossi limiti sul numero di partecipanti) e cerimonie di carattere religioso.
Il 18 aprile, quasi due mesi dopo la scoperta del primo caso, il primo ministro Benjamin Netanyahu annuncia al Mondo che lo stato di Israele è riuscito con successo a combattere il coronavirus e che il Paese deve essere preso da esempio per il tutto il Mondo.
Il ritorno alla (quasi) normalità
Dopo quell’annuncio fin troppo ottimista, negli stessi giorni in cui l’Italia era ancora in pieno lockdown e in molti Paesi del Mondo la situazione era ancora fuori controllo, è iniziato il graduale alleggerimento delle restrizioni, con qualche differenza sostanziale rispetto a quello che l’Italia avrebbe fatto da lì a qualche settimana.
Pur con l’invito ad indossare la mascherina, ad esempio, nei primi giorni di maggio si è tornati a permettere gli incontri all’aperto per un massimo di 20 persone, che è stato portato a 50 persone per i matrimoni ed altre cerimonie religiose.
Le scuole hanno riaperto gradualmente a partire dal 3 maggio, con limiti sul numero di studenti per classe, distanziamento sociale e l’obbligo di indossare la mascherina a scuola. Pochi giorni dopo, con limitazioni simili, sono riaperti anche gli asili nidi e le scuole materne. I limiti sul numero di studenti per classe, però, sono stati rimossi il 17 maggio e, complice l’ondata di caldo che ha colpito Israele, è stato temporaneamente rimosso anche l’obbligo di indossare le mascherine in classe e all’aperto per tutti i cittadini, con l’invito però a rispettare il distanziamento sociale ed evitare gli assembramenti.
La ripresa dei contagi
Due settimane dopo la riapertura delle scuole, i casi di COVID-19 sono tornati a salire. Decine di scuole sono state prontamente richiuse a partire dall’inizio di giugno dopo l’accertamento di nuovi focolai di COVID proprio legati alla scuola: al 3 giugno scorso 244 persone tra studenti e personale scolastico sono risultati positivi al coronavirus il tutto il Paese, e per quasi 7mila persone tra studenti e docenti è stata disposta la quarantena domiciliare, mentre 42 scuole materne in tutto il Paese sono state chiuse proprio per prevenire l’ulteriore diffusione del contagio.
Il caso più eclatante è stato quello della scuola superiore Gymnasia Rehavia, a Gerusalemme ovest, dove secondo i dati ufficiali del Ministero dell’Educazione di Israele sono stati accertati 116 studenti e 14 insegnanti positivi al COVID-19.
Nonostante il sistema di tracciamento dei contatti, l’obbligo di quarantena per le persone positive e per quelle entrate in contatto con le persone positive al COVID-19, i contagi sono tornati a salire al punto da spingere il primo ministro, tra l’inizio di luglio e il 17 luglio scorsi, ad introdurre nuove limitazioni per i cittadini: chiusura di palestre e locali notturni, riduzione della capienza dei mezzi pubblici e divieto di raduni all’aperto sopra alle 20 persone e al chiuso fino ad un massimo di 10 persone.
La situazione non è migliorata, ma ha iniziato a stabilizzarsi. I nuovi contagi, seppur maggiori rispetto alla cosiddetta prima ondata, hanno proseguito per quasi un mese ad aggirarsi sui 1.200-2.500 al giorno. Numeri altissimi rispetto al picco raggiunto il 4 aprile scorso (+1.176 in 24 ore), ma nonostante questi dati il governo ha dovuto cedere alle pressioni degli imprenditori ed ha fatto un passo indietro su una misura che era stata annunciata: la chiusura di ristoranti, spiagge e piscine, ma anche la chiusura nei fine settimane di mercati e centri commerciali.
Alla fine di agosto, però, la curva dei contagi ha ripreso a salire e con essa è tornato ad aumentate anche il numero dei decessi, rimasto nelle settimane successive al lockdown nell’ordine di 1 o 2 unità al giorno. Dalla seconda metà di agosto, invece, si è arrivati a registrare tra i 10 e i 20 decessi al giorno.
Il secondo lockdown di Israele
I dati della seconda metà di agosto e la tendenza alla crescita hanno quindi spinto le autorità israeliane alla decisione che molti Paesi stanno valutando in questi giorni, dalla Francia alla Germania: il secondo lockdown totale e l’adozione di un sistema a semaforo – rosso, giallo, verde – per identificare le città e le aree più o meno colpite dalla pandemia e misura restrittive chiare per ciascun livello di allerta.
Il secondo lockdown di tre settimane è partito ufficialmente venerdì 18 settembre, con l’obiettivo di rimuovere le limitazioni a partire dal 10 ottobre. A partire da quella data gli spostamenti non essenziali dei cittadini sono stati limitati a 500 metri dalle proprie abitazioni, è stata disposta la chiusura di negozi, hotel, piscine e centri sportivi, ma anche della quasi totalità delle scuole. I ristoranti possono effettuare soltanto consegne a domicilio e servizio di take-away, mentre si è deciso di permettere gli incontri all’aperto a gruppi di massimo 20 persone, limite ridotto a 10 per gli incontri al chiuso.
A dieci giorni di distanza, però, gli effetti sperati non si sono visti e il 23 settembre il primo ministro Benjamin Netanyahu ha dato il via ad un lockdown ancora più limitante di 2 settimane, lasciando il 10 ottobre come data di avvio del sollevamento delle misure restrittive. Al 23 settembre erano stati accertati 6.948 nuovi casi di COVID-19 in 24 ore, 658 persone per cui è stato necessario il ricovero in terapia intensiva e 1.317 decessi in tutto il Paese dall’inizio della pandemia.
Qual è la situazione al 28 settembre 2020?
A poco meno di una settimana dall’avvio del lockdown più duro, e sempre tenendo in considerazione la due settimane di incubazione del virus, è presto per fare un bilancio certo. Considerato il 23 settembre come il nuovo picco dell’epidemia, i nuovi positivi quotidiani hanno iniziato a scendere già a partire dal giorno successivo, probabilmente come effetto della chiusura avviata il 18 settembre:
- 23 settembre 2020: 11.316 nuovi casi e 22 decessi
- 24 settembre 2020: 7.425 nuovi casi e 30 decessi
- 25 settembre 2020: 5.784 nuovi casi e 27 decessi
- 26 settembre 2020: 9.201 nuovi casi e 31 decessi
- 27 settembre 2020: 3.926 nuovi casi e 24 decessi
- 28 settembre 2020: 2.239 nuovi casi e 19 decessi
Se il numero quotidiano dei nuovi positivi sembra aver ripreso a scendere, anche a fronte di un aumento dei tamponi eseguiti è necessario qualche giorno in più per vedere l’effetto del lockdown sui ricoveri, le terapie intensive e i decessi.
Al 28 settembre 2020 risultano 200 pazienti COVID ricoverati in terapia intensiva nel Paese, in lento e costante aumento rispetto alla settimana precedente, mentre il numero dei decessi quotidiani sembra in diminuzione, ma occorrerà ancora qualche giorno per un quadro più preciso sull’effetto della chiusura totale ancora in atto.
Nel grafico qui sotto, diffuso dalle autorità sanitarie di Israele, in celeste è indicato l’andamento delle terapie intensive, mentre in verde è indicato l’andamento dei decessi:
(il dato del 29 settembre è da considerarsi incompleto:la pagina ufficiale del governo israeliano dedicato al COVID-19 viene aggiornata più di una volta al giorno e quei dati si riferiscono alla mattina di oggi, 29 settembre 2020).