Piano pandemico: cosa significa che si potrà “scegliere chi curare”
Dalla bozza del nuovo Piano Pandemico ’21-’23 emerge la questione etica: scegliere chi curare in caso di risorse scarse. A chi la priorità?
Il ministero della Salute sta lavorando al nuovo Piano Pandemico 2021-2023 e dopo la circolazione della prima bozza si sta discutendo inevitabilmente di alcuni aspetti dello stesso. Su tutti, il punto in cui si sottolinea come in condizioni di scarsità di risorse, riassumendo, si può scegliere chi curare e chi no. Innanzitutto va detto che il testo sarà sottoposto presto dal ministro Roberto Speranza alle Regioni, e potrà quindi ancora subire delle modifiche. La bozza esordisce affermando che le “lezioni apprese” dal Covid-19 “possono essere considerate in un Piano pandemico influenzale che è utile contestualizzare nell’ambito dell’attuale crisi sanitaria globale”.
Nuovo piano pandemico 2021-2023
Tra gli aspetti centrali del nuovo piano pandemico non possono mancare ovviamente i dispositivi di protezione, che l’Italia dovrà avere sempre a disposizione e non essere costretta a reperire sul mercato in fretta e furia. Inoltre, deve funzionare alla perfezione la catena di comando, cosa che spesso non è avvenuta durante l’emergenza coronavirus (basti pensare alla fine che ha fatto l’app Immuni, resa completamente inutile dalla mancanza di flussi di informazioni a livello sanitario). Senza dimenticare le piattaforme “per il rapido sviluppo di farmaci” necessari ad affrontare eventuali nuove pandemie.
Il documento redatto dai consulenti del ministro Speranza, però, si sofferma anche sulla questione etica e su un aspetto che non è propriamente una novità, ma che ovviamente si tende sempre a scongiurare. In caso di risorse scarse, occorrerà scegliere chi curare. L’emergenza ci ha già fatto conoscere meglio istituti come il triage, ovvero il sistema di smistamento tramite il quale vengono definiti i pazienti con necessità prioritarie di cure. Si tratta di un sistema però che funziona in casi di disponibilità di risorse normali.
“Quando la scarsità rende le risorse insufficienti rispetto alle necessità – si legge nella bozza del nuovo Piano Pandemico 2021-2023 – i principi di etica possono consentire di allocare risorse scarse in modo da fornire trattamenti necessari preferenzialmente a quei pazienti che hanno maggiori possibilità di trarne beneficio”. E ancora, il documento precisa che “non è consentito agire violando gli standard dell’etica e della deontologia, ma può essere necessario per esempio privilegiare il principio di beneficialità rispetto all’autonomia, cui si attribuisce particolare importanza nella medicina clinica in condizioni ordinarie. Condizione necessaria affinché il diverso bilanciamento tra i valori nelle varie circostanze sia eticamente accettabile – si ribadisce però – è mantenere la centralità della persona”.
Cosa significa “scegliere chi curare”?
È effettivamente un aspetto che spaventa, che per certi versi disorienta, poiché pensare di dover curare alcuni e lasciar soffrire altri, in determinate condizioni, può trasportarci facilmente nella disumanità delle cose. In realtà, la cosa è molto più complessa e come ricorda Wired, quando ci sono risorse scarse e si deve decidere a chi dare priorità, l’obiettivo che i sanitari si pongono subito è quello del salvataggio del maggior numero possibile di vite. A chi devo prestare le maggiori cure per assicurarmi che da una situazione di emergenza vengano fuori il maggior numero di persone vive?
L’approccio non è comunque univoco, ma ce ne sono addirittura tre e seguono tre concetti basilari: l’utilitarismo, l’egualitarismo e il proceduralismo.
– L’approccio utilitaristico si concentra su alcuni indicatori nello specifico, su tutti il numero di vite salvate e il numero di anni di vita salvati. In questo senso, si sviluppa un protocollo che oltre a dare priorità a chi ha più possibilità di essere salvato, la dà anche a chi ha davanti a sé una prospettiva di vita più lunga, di conseguenza darà priorità ai pazienti più giovani.
– L’approccio egualitario, invece, prevede la distribuzione degli interventi, appunto, in modo paritario per tutti, indipendentemente dall’aspettativa di vita. In questo caso, dunque, si tende ad avere un approccio che porta a curare chi arriva prima, fino a disponibilità delle risorse.
– L’approccio procedurale, invece, prevede che con risorse non sufficienti per tutti, siano privilegiate determinati gruppi o classi sociali. Non è il caso dell’Italia, ma negli USA, ad esempio, questo approccio potrebbe dare la priorità ai possessori di un’assicurazione sanitaria, salvando in questo senso prima le vite delle classi più abbienti e poi quelle dei ceti più bassi.
Detto che i tre approcci possono anche mescolarsi tra di loro, al momento non è dato sapere quale sarà quello scelto dalla sanità italiana, ma potrebbero seguire delle linee guida, a meno che non si voglia lasciare l’incombenza all’ultimo anello della catena.