Covid-19: perché l’immunità può durare almeno 6 mesi
Uno studio pubblicato dalla rivista Nature sottolinea che “in caso di reinfezione gli anticorpi dovrebbero funzionare anche con le mutazioni”
L’immunità al Covid-19 può durare fino a 6 mesi e nel caso in cui un guarito dovesse incappare nuovamente nel virus, potrebbe avere una risposta immunitaria rapida ed efficace. È quanto emerge da un nuovo studio pubblicato sulla rivista Nature e condotto dal gruppo di Michel Nussenzweig della Rockefeller University di New York. Lo studio si è concentrato su oltre 80 persone che avevano contratto il coronavirus ed ha consentito di rilevare un aspetto molto importante. Nello specifico, i livelli di cellule B della memoria specifiche, ovvero quelle che rimangono nell’organismo dopo il Covid e che se vengono esposte allo stesso agente patogeno producono gli anticorpi, sono rimasti costanti durante il periodo oggetto di studio.
Perché l’immunità da Covid-19 può durare 6 mesi
Nello specifico, il prof Nussenzweig e il suo gruppo di lavoro hanno sottoposto a studio 87 persone che hanno avuto una diagnosi di Sars-CoV-2 a distanza di 1,3 e 6,2 mesi dall’infezione. La notizia positiva è che “nonostante l’attività degli anticorpi neutralizzanti diminuisca nel tempo – sottolineano i ricercatori – il numero di cellule B della memoria rimane invariato”. E non è tutto, perché c’è un’altra notizia che tranquillizza anche sulle diverse varianti di coronavirus che stanno spuntando un po’ in diverse parti del globo. “Gli anticorpi prodotti da queste cellule memoria sono più potenti rispetto agli anticorpi originali, e possono essere più resistenti alle mutazioni nella proteina Spike”, ovvero quella che media tra il virus e l’ingresso nelle cellule bersaglio.
La conclusione dello studio è che “la continua presenza ed evoluzione delle cellule B della memoria” lascia intendere che le persone possono produrre anticorpi rapidi ed efficaci in caso di reinfezione da coronavirus, perché “le cellule B della memoria hanno la capacità di evolversi in presenza di piccole quantità di antigene virale persistente, ovvero quelle piccole proteine del virus che il sistema immunitario riesce a rilevare.
Coronavirus: la variante tedesca
Lo studio arriva proprio nel giorno in cui in Germania è stata individuata una nuova variante del Covid-19. Il vicedirettore dell’ospedale di Garmisch Partenkirchen (Baviera), Clemens Stockklausner, ha sottolineato che “il significato clinico di questa variante non è ancora affatto chiaro”. Primario del reparto di pediatria e medicina giovanile, Stockklausner ha aggiunto che fin qui sono state contagiate da questa variante 35 persone e che è evidente il fatto che non si tratti né di quella britannica, né di quella sudafricana o brasiliana.