Joe Biden vuole aumentare il salario minimo in America: perché?
Da $7.5 a $15 dollari: un raddoppio per cercare di recuperare il gap rispetto alla diminuzione del potere d’acquisto e avviare la ripresa post pandemia.
“Nessuno che lavori 40 ore a settimana dovrebbe vivere al di sotto della soglia di povertà”.
Joe Biden, ha pronunciato queste parole il 14 gennaio, durante un comizio nella sua Wilmington, in Delaware, giorni prima che diventasse ufficialmente il Presidente degli Stati Uniti. Stava parlando della riforma del salario minimo, uno dei provvedimenti presenti nel suo programma elettorale al quale ha promesso di dare seguito.
Quello del salario minimo negli Stati Uniti è un argomento complicato, e lo è a causa del fatto che – in questo, come in altri contesti – le volontà dei singoli stati sono costrette a fare i conti con quella federale e viceversa.
La proposta di Joe Biden di aumentare il salario minimo federale da $7,5 a $15 l’ora va a inserirsi nel progetto di rilancio dell’economia post-Coronavirus che parte dalla manovra da 1.9 mila miliardi di dollari che il presidente è pronto a varare.
Una cifra enorme, che stando al piano espresso negli ultimi giorni dal capo di gabinetto della Casa Bianca, Ron Klain, avrà tre direttrici principali.
Dei 1.9 mila miliardi di dollari, 400 saranno destinati a mettere in atto le misure per combattere il Coronavirus, inclusi vaccini e test o tamponi; 1 trilione sarà utilizzato per agli aiuti diretti alle famiglie e altri 400 miliardi a comunità e imprese.
L’aumento del salario minimo andrebbe quindi a inserirsi all’interno di quest’ultima voce.
LA PROPOSTA DI BERNIE SANDERS
Quella del minimum wage è una battaglia politica che da sempre caratterizza l’ala più estrema del Partito Democratico americano. Già nel 2018 e nel 2019 il senatore socialista del Vermont, Bernie Sanders, rivendicava questa come una scelta necessaria per combattere le disuguaglianze all’interno del Paese. La sua battaglia, per cui fu appositamente creato l’hashtag #FightFor15, è stata ripresa in queste settimane da Joe Biden come una lotta di dignità.
I $7,5 previsti oggi dalla legge risalgono a una misura voluta dall’amministrazione Obama, di cui proprio Joe Biden era vicepresidente. Era il 2009 e la riforma era una delle mosse pensate all’epoca per favorire la ripresa economica dopo la crisi finanziaria del 2008.
Il 1° gennaio 2021, venti stati americani hanno disposto autonomamente un aumento del salario minimo, da qualche centesimo a un dollaro o più, per cercare di adeguarlo al costo della vita.
Nel New Mexico, l’aumento è pari a $1,5, portandolo da $9,0 $ 10,50. In Minnesota, il guadagno è di soli 8 centesimi, che porta a un aumento pari a di $10,08. In California, per i datori di lavoro con 26 o più dipendenti, si passa da $ 13 a $ 14 l’ora, diventando la cifra più alta dell’intera nazione.
IL CASO DELLA CALIFORNIA
Quello della California, però, è un caso a sé stante. Con i suoi 40 milioni di abitanti, è lo stato più ricco dell’intera nazione, la sua economia è la quinta del mondo, soprattutto grazie alla presenza delle grandi compagnie tech, da Amazon ad Apple.
Questa ricchezza, però, è concentrata nelle mani di pochissime persone, e le migliaia di senzatetto costretti a vivere davanti al municipio di Los Angeles ne sono la testimonianza.
Lo stato californiano vive il paradosso di essere una delle migliori economie del globo e, allo stesso tempo, convivere con una povertà sotto gli occhi di tutti. E per questo è diventato uno dei simboli dell’America contemporaea.
UNA MISURA CONTRO LE DISEGUAGLIANZE
Quando Joe Biden è stato eletto, ha detto che il primo vero obiettivo della sua presidenza sarebbe stato quello di riunire l’America. Quando si parla di divisioni all’interno della popolazione statunitense, o di polarizzazione alla quale hanno contribuito 4 anni di presidenza Trump, si fa riferimento a una spaccatura sociale che da questa parte dell’Atlantico, spesso, si fatica a vedere.
In realtà, quando parliamo di Stati Uniti, dobbiamo abituarci a pensare che non si parla solamente di New York, Los Angeles, Chicago o Miami. L’America è fatta anche e soprattutto di tutto ciò che c’è nel mezzo, di infinte distese di nulla in cui troppo spesso finisce per morire il sogno americano.
I numeri dicono che oggi il 39% della popolazione degli Stati Uniti vive con un salario minimo di $7,5 e il 61% con uno superiore a questo.
Il fatto che a Seattle un operaio sia pagato $15 l’ora e in New Hampshire sia ancora fermo a $7,5 restituisce bene questa polarizzazione.
I PRO
Chi è a favore dell’aumento ha a supporto due elementi tra tutti.
Il primo è dato da uno studio dell’Economic Policy Institute, un autorevole centro di ricerca americano che ha individuato una correlazione tra l’aumento del salario minimo negli stati e la crescita media annua degli stipendi.
Secondo questo studio, negli stati in cui si è aumentato il minimum wage, si è assistito a un aumento dei salari di fascia più bassa del 5%. Dove invece ciò non è avvenuto, la crescita di questi ultimi è stata pari al 2.5%
Un aumento importante, che impatta solo relativamente sulle realtà aziendali dato che, come avvenuto nello stato di New York, si tratta di maggiorazioni graduali e dilatate nel tempo.
Dal luglio 2009, l’ultima volta che il salario minimo è stato aumentato dal governo federale, il potere d’acquisto degli americani è diminuito di oltre il 17%, lasciando milioni di lavoratori e le loro famiglie con stipendi non conformi ai loro bisogni.
È in questa chiave che, prima di tutto, deve essere inteso l’aumento del salario minimo.
In calce all’articolo si legge che “tre studi accademici pubblicati quest’anno hanno esaminato gli aumenti storici del salario minimo e hanno scoperto che così facendo la spesa dei consumatori è aumentata facendo aumentare la spesa nazionale”.
Inoltre, lo stesso EPI ha recentemente pubblicato un articolo accademico in cui afferma che aumentare il salario minimo a $15 entro il 2025 potrebbe contribuire a recuperare il gap creatosi a causa della crisi economica da pandemia.
Il secondo elemento a favore dell’aumento afferisce alla sfera etica. Si basa su uno studio retrospettivo pubblicato nei primi giorni di gennaio 2021 sul Journal of Epidemiology & Community Health.
L’analisi mette in evidenza una correlazione tra l’aumento del salario minimo in alcuni stati americani e la diminuzione del numero di suicidi negli anni che vanno dal 1990 al 2015.
Questa rapporto è particolarmente evidente nei posti dove la disoccupazione è più alta, e nelle note a commento si legge che se in quegli anni si fosse aumentato “il salario minimo di $1 in ogni stato, si sarebbero potute salvare più di 27.000 vite. Un aumento di $2 avrebbe potuto prevenire più di 57.000 suicidi”.
John Kaufman, l’autore dello studio, ha inoltre affermato che “se il salario minimo imposto dopo la recessione del 2009 fosse stato aumentato di $2, si sarebbero potute evitare fino a 26.000 morti”.
Lo studio prende in considerazione gli adulti meno istruiti in quanto sono quelli che – in percentuale – più di tutti percepiscono di un salario minimo e, soprattutto, su cui ricadono disoccupazione e depressione.
Per capire se la correlazione fosse reale, Kaufman ei suoi hanno esaminato le due variabili stato per stato, ogni mese durante i 25 anni. Hanno analizzato i numeri attraverso un modello matematico che mostrava come, per ogni dollaro di aumento del salario minimo, il tasso di suicidio scendeva dal 3,5% al 6%.
Successivamente, al modello prodotto hanno aggiunto i tassi di disoccupazione e hanno scoperto che l’effetto di ogni aumento di un solo dollaro sembrava essere maggiore quando la disoccupazione era più alta.
Ovviamente, lo studio mette semplicemente a fuoco la correlazione dei dati, non è in grado di fare associazioni e quindi di identificare le motivazioni a supporto.
(Cosa che invece tenta di fare uno studio pubblicato sul JAMA Internal Medicine che evidenzia come, nei cinque anni dopo la chiusura di uno stabilimento automobilistico nel midwest, le morti da overdose da oppiacei nelle 5 contee da cui provenivano i lavoratori sono aumentate dell’85%).
I CONTRO
Gli oppositori di questa riforma, d’altra parte, hanno alcune frecce al loro arco di cui è necessario tenere conto.
La redazione di Hoffstuffworks.com, uno dei più autorevoli siti di educazione finanziaria statunitense, ha provato a mettere insieme gli argomenti a sfavore del salario minimo.
Partono dal presupposto che i pareri in merito sono molteplici e discordanti. Coloro che si pongono contro l’aumento così fissato del salario minimo, affermano che questo finirebbe per danneggiare gli stessi lavoratori che la misura promette di proteggere, contribuendo così all’aumento della disoccupazione.
Secondo loro si tratterebbe di attribuire un valore artificiale al singolo lavoratore, senza che poi questo corrisponda al suo reale valore di mercato.
“Ad esempio – spiegano -, se un giovane operaio fa domanda per il suo primo lavoro come macchinista in una fabbrica, il proprietario sa che questo non produrrà tanto quanto un operaio più esperto, ed è per questo che il loro salario minimo non può essere lo stesso”.
Per questo motivo, se il proprietario della fabbrica è costretto a pagare al neo assunto un salario minimo artificialmente imposto, finirà per scegliere di non assumerlo.
Alla disoccupazione, poi, si aggiunge l’inflazione. Secondo gli economisti apertamente schierati contro la misura, se un produttore è improvvisamente costretto a pagare ai suoi lavoratori $ 7,25 l’ora invece di $ 6,55 l’ora, deve aumentare il prezzo del suo prodotto per recuperare i costi.
Questa mossa genererà così quella che in economia è chiamata “inflazione spinta dai costi”.
La soluzione da loro paventata è simile a quelle ritenute utili anche in Europa: abbassare i costi fiscali dei lavoratori.
“La logica – si legge – è che secondo le attuali leggi sul salario minimo, l’unica persona che sopporta l’onere finanziario per combattere la povertà è l’imprenditore che deve pagare il salario minimo ai suoi lavoratori. Se i lavoratori a basso salario sono sostenuti attraverso tagli e sconti fiscali, tutti i contribuenti possono condividere l’onere finanziario”, senza così impattare direttamente sull’azienda e le sue scelte.