Patrick Zaki, un anno in carcere: le tappe del calvario
Lo studente dell’università di Bologna è in prigione al Cairo dal 7 febbraio 2020. La prossima udienza è prevista per metà marzo
Un anno di rinvii, soprusi e maltrattamenti. Un anno di speranze disattese e schiaffi in faccia, di giustizia calpestata e diritti violati. Un anno in carcere, per Patrick Zaki. Lo studente e ricercatore egiziano dell’Università di Bologna, per la cui liberazione si sono mosse associazioni italiane e internazionali, singoli cittadini e politici, vivrà domenica domani il suo triste anniversario dietro le sbarre. Tornato in patria dall’Italia il 7 febbraio 2020 per trascorrere un po’ di tempo con la famiglia prima di rientrare in Emilia (e volare, con il programma Erasmus “Gemma”, in Spagna), Patrick si è ritrovato chiuso in un imbuto di ingiustizie dal quale, purtroppo, non è ancora uscito.
Le tappe dell’odissea
7 febbraio 2020 – Arrivato all’aeroporto del Cairo di prima mattina, Zaki viene fermato e portato in una stanza dalle autorità di sicurezza. L’allarme scatta al controllo passaporti, con un “bollino rosso” che fa insospettire gli agenti della dogana e impedisce allo studente di uscire dall’aeroporto e di incontrare la sua famiglia. Le accuse: pubblicazione di voci e false notizie che puntano a disturbare la pace sociale e a seminare il caos; istigazione alla protesta senza il permesso delle Autorità competenti allo scopo di minare l’Autorità statale; chiedere il rovesciamento dello Stato; gestire un account di social media che ha lo scopo di minare l’ordine sociale e la sicurezza pubblica; istigazione a commettere violenze e crimini terroristici.. Il suo calvario inizia così: per 24 ore di lui non si sa nulla, e intanto inizia a trascorrere le notti e i giorni tra la stazione di polizia e il carcere di Mansura, città della sua famiglia a 120 km a nord del Cairo.
12 febbraio – A riportare l’assurdità delle accuse è l’avvocato del ragazzo, Wael Ghaly, che all’Ansa spiega: “È stato incarcerato per dieci post su Facebook che risalgono alla scorsa estate (2019, ndr), ma noi non li abbiamo ancora visti e la Sicurezza non ce li mostrerà“. Secondo Ghaly, però, si tratta di un account falso, e il suo arresto è frutto del clima di repressione nato nel Paese dopo gli appelli alla protesta lanciati dall’imprenditore ed ex attore Mohamed Ali.
In un’intervista rilasciata a Repubblica e Corriere, poi, i legali e la famiglia danno le prime notizie sul ragazzo: “È stato interrogato, picchiato e torturato per 30 ore”, e gli è stato chiesto anche dei suoi legami con la famiglia di Giulio Regeni. Si viene anche a sapere che l’ordine di cattura risale al 23 settembre 2019, senza che Zaki lo sapesse. Ma perché questa “caccia all’uomo” per un semplice studente universitario? Perché Zaki era anche un attivista, uno degli organizzatori della campagna elettorale dell’avvocato Khaled Ali. Una campagna che non andò a buon fine, visto che Ali si ritirò denunciando forti intimidazioni e gli arresti arbitrari del suoi collaboratori. Tra le altre cose, Zaki era anche un membro dell’associazione Egyptian Initiative for Personal Rights, una ong che si batte per la difesa dei diritti umani nel Paese. Proprio in questi giorni l‘associazione è stata sfrattata dalla sua sede del Cairo, al suo posto un movimento politico giovanile vicino al presidente Abdel fattah al-Sisi.
15-22 febbraio – La corte di Mansura respinge l’istanza di scarcerazione presentata dai suoi legali e rinnova la sua detenzione per altri 15 giorni. Intanto, però, la notizia ha ormai fatto il giro dell’Europa e le manifestazioni in suo favore, il 19 febbraio, sono ovunque: non solo davanti alle ambasciate egiziane e a Bologna, città adottiva di Zaki, ma anche a Bruxelles e Granada. Non due luoghi casuali: il Presidente del Parlamento Europeo, David Sassoli, aveva lanciato un appello diretto ad al-Sisi chiedendo la scarcerazione dello studente. In Spagna, invece, Zaki si sarebbe recato al rientro dall’Egitto per il secondo semestre di studi. Intanto, su Repubblica, Roberto Saviano chiede al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e al premier Conte di conferirgli la cittadinanza italiana:
Patrick Zaky ha impegnato i suoi studi nella ricerca sociale sui diritti delle donne e sulle tematiche Lgbt. Per l’automatismo del regime è un dissidente, un nemico. Lo hanno accusato di violare l’immagine del Paese. Merita la cittadinanza italiana? Sì! Senza dubbio. L’ha conquistata studiando in una nostra Università e diventando con i suoi studi pericoloso per il regime egiziano. Bisogna renderlo cittadino perché ha subito torture in nome della sua libertà di ricerca su temi considerati pericolosi dal regime. A chi può sembrare impropria questa cittadinanza propongo di ragionare che è italiano chi nelle scuole e nelle università italiane studia e fa ricerca in nome della libertà e, in nome della libertà da noi difesa, viene perseguitato. Zaky è italiano.
Il 22 febbraio Patrick compare in aula a Mansura per un’udienza, che però non porta a niente. Il 28 scrive alla famiglia: “Sto bene e voglio tornare ai miei studi. In particolare vorrei i miei libri per studiare e avere la libertà di andare in bagno“.
Marzo 2020 – Il 5 marzo, per la prima volta, ai genitori viene dato il permesso per far visita al figlio in carcere. All’arrivo, una doccia fredda: il ragazzo è stato trasferito da Mansura al Cairo, nel carcere di Tora, senza che ne sia stata data alcuna notizia. La seconda udienza per il rinnovo della detenzione viene seguita per la prima volta da alcuni osservatori internazionali, tra cui membri dell’ambasciata italiana. Il coronavirus ha effetti pesantissimi sulla sua situazione: un’udienza, inizialmente programmata per il 16, viene rinviata al 5 maggio. Senza l’imputato e i suoi legali, la corte decide per la permanenza in carcere.
Estate 2020 – Il 16 giugno Zaki festeggia il suo compleanno in carcere e, a partire dal 13 luglio, ogni 45 giorni viene confermata la detenzione per altri 45, in una serie interminabile di decisioni sempre uguali e non giustificate da progressi o novità nelle indagini. A luglio scrive finalmente alla famiglia, dichiarando di sentirsi bene, e a fine mese partecipa ad un’udienza per la prima volta da marzo: niente di fare, carcere confermato per altri 45 giorni.
Gli ultimi mesi – La situazione peggiora sensibilmente a partire dalla fine di agosto. Zaki inizia a mostrare i primi segni di insofferenza, sia mentale che fisica: “Ho ancora problemi alla schiena e ho bisogno di antidolorifici e di qualcosa per dormire meglio. Le decisioni delle autorità sono deludenti come al solito, e senza una ragione comprensibile“, si legge nella lettera che scrive alla famiglia. “Continuo a pensare all’università, all’anno che ho perso senza un motivo. Mi manca la mia casa di Bologna, le strade e l’università“. La madre riferisce di un Patrick “esausto e stufo“, caduto in uno stato depressivo che lo tiene chiuso in cella anche nelle ore d’aria. “Non ne posso più di stare qui, mi deprimo a ogni tappa dell’anno accademico, mentre sono qui e non con i miei amici a Bologna“. Intanto, a dicembre, i legali rendono noto che Zaki dorme per terra dall’inizio della sua detenzione, cosa di cui non si era mai lamentato prima.
In tutto questo il Comune e l’Università di Bologna non si sono mai scordati di lui. L’11 gennaio 2021 il consiglio comunale del capoluogo emiliano gli ha conferito la cittadinanza onoraria. Queste le parole del sindaco Virginio Merola:
Patrick Zaki, studente iscritto a un master dell’Università di Bologna, è un nostro concittadino. Questa vicinanza a Patrick, che riteniamo detenuto ingiustamente da ormai un anno, ci fa dire che anche attraverso questa cittadinanza onoraria noi chiediamo che venga liberato e possa affrontare il suo giudizio nei termini del rispetto dei diritti umani. Riteniamo la sua condizione di detenzione preventiva incompatibile con il rispetto dei diritti umani, sappiamo che questo ragazzo soffre d’asma e che la pandemia è entrata anche nelle carceri egiziane, abbiamo letto con preoccupazione che si sente molto provato psicologicamente da questa prigionia.
E, il 12 settembre, il rettore dell’Alma Mater ha chiesto che lo studente riprenda a seguire i corsi universitari:
Patrick ha mostrato forte apprensione per gli studi, ha chiesto dapprima la possibilità di studiare in carcere, ora, proprio quando nelle università europee si sta per aprire il nuovo anno accademico, di poter frequentare il suo secondo anno di studi nell’ambito del percorso prescelto.
Con fermezza ci uniamo alla sua richiesta, così come a quella di tutte le Università del Master, dell’intera comunità docente e studentesca di far tornare Patrick al più presto ai suoi studi, in cui crede per la sua formazione intellettuale e umana e per i quali si è tanto impegnato.
L’Università di Bologna continuerà a prodigarsi per chiedere giustizia, un processo rapido e infine il rilascio di Patrick, anche in conseguenza delle sue condizioni di salute nonché dell’attuale emergenza globale dovuta al Covid-19. Se la pandemia ci ha reso tutti e tutte più vulnerabili, la condizione di angosciante attesa e precarietà vissute da Patrick e dai suoi cari ci spinge ad un ancor più forte impegno e ad una più sentita solidarietà.
Aspettiamo Patrick, chiediamo sia al più presto con noi, per iniziare con lui quelle lezioni che si fondano sull’interazione profonda tra docenti e giovani generazioni cui abbiamo il compito di indicare una traccia per il futuro.
La solidarietà non è mancata neanche dall’estero: l’attrice Scarlett Johansson, lo scorso 3 gennaio, ha registrato un video – poi pubblicato su Youtube – in cui chiedeva la scarcerazione di Zaki e di altri attivisti dell’Eipr, arrestati (e poi rilasciati) a novembre: “Mi unisco alla gente in Egitto e a molti altri nel mondo e chiedo l’immediato rilascio di Gasser, Karim, Mohamed e Zaki“, le parole dell’attrice. Il primo febbraio, però, l’ennesima decisione sempre uguale: Zaki deve rimanere in carcere per altri 45 giorni. E il calvario che ormai dura da un anno sembra non avere più fine.