Cos’è il “mix and match” vaccinale lanciato dalla Germania
Berlino ha deciso che gli under 60 a cui è stata somministrata la prima dose di AstraZeneca faranno il richiamo con un altro vaccino
La Germania sarà il primo Paese europeo a provare il “mix and match” vaccinale: agli under 60 che hanno ricevuto la prima dose di AstraZeneca, infatti, il richiamo sarà effettuato con Pfizer o Moderna. Berlino, insieme a Roma e Parigi, era stata tra le prime capitali europee a sospendere il vaccino anglo-svedese, per poi riprenderne la somministrazione (dopo il via libera dell’Ema) solo per chi ha più di sessant’anni. Anche l’Italia ne ha raccomandato l’uso sulle persone della stessa fascia d’età
La decisione ha posto però un problema: cosa si fa, adesso, con gli under 60 che hanno ricevuto già la prima dose di AstraZeneca? A lavorare a una soluzione ci ha pensato l’università di Oxford, partner proprio di AstraZeneca, che ha iniziato lo studio Com-Cov sugli effetti della vaccinazione “mista” con Pfizer, Moderna e Novavax. Una ricerca attraverso la quale si cerca di capire se la combinazione tra vaccini diversi possa dare una immunità più ampia (in termini di tempo e di efficacia) contro il virus e contro le nuove varianti, garantendo anche una maggiore flessibilità della somministrazione delle dosi.
Proprio quello della “rigidità” della vaccinazione (cioè dell’obbligo di somministrare due dosi dello stesso vaccino) ha causato dei rallentamenti, sia all’inizio – quando venivano somministrate meno dosi rispetto a quelle disponibili per non essere “scoperti” per il richiamo – sia adesso che le case farmaceutiche hanno annunciato – chi più, chi meno – ritardi nella consegna delle dosi.
Sia chiaro, quella dell’evitare il “mix and match” tra i vaccini non è una scelta politica, ma è una precisa indicazione scientifica in mancanza di studi specifici sull’efficacia di questa pratica. Infatti, lo studio dell’università inglese è partito proprio perché Londra aveva ipotizzato, sin da gennaio, la possibilità di combinare due sieri diversi senza però evidenze scientifiche di supporto.
Lo studio inglese e le ragioni tedesche
A guidare lo studio il dottor Matthew Snape, professore di pediatria e vaccinologia all’Università di Oxford, che al Guardian ha detto: “Se possiamo dimostrare che queste somministrazioni miste possono generare una risposta immunitaria buona come quella standard, e senza un incremento significativo delle reazioni al vaccino, potremmo immunizzare più persone e più velocemente, garantendo l’immunità in tempi più rapidi“. Questo, continua Snape, “garantirebbe anche una maggiore resistenza del sistema in caso di una riduzione delle dosi a disposizione“.
Al momento, le sperimentazioni riguardano persone sotto i 50 anni, che hanno già ricevuto una prima dose di vaccino tra le otto e le dodici settimane fa (AstrZeneca o Pfizer), e alle quali sarà somministrato in maniera casuale o lo stesso siero o uno diverso. Inizialmente lo studio prevedeva solo la combinazione AstraZeneca-Pfizer, ma la platea è stata estesa anche a Moderna e Novavax.
Contemporaneamente, come abbiamo accennato, la Germania ha già deciso di procedere autonomamente. A stabilire che gli under 60 cui è stata già somministrata la prima dose di AstraZeneca faranno il richiamo con un altro vaccino (Pfizer o Moderna) sono stati i ministri della Salute del governo federale e dei 16 Lander: “La soluzione ideata offre una buona protezione”, ha detto il deputato Klaus Holeteschek, che ha presieduto la riunione tra i responsabili sanitari. Solamente in alcuni casi, e dopo un’attenta valutazione medica sui rischi legati al singolo caso, AstraZeneca potrà essere utilizzata per il richiamo agli under 60. Moderna e pfizer costituiscono “un’ottima alternativa, in particolare per la terza ondata”, ha detto ancora Holeteschek.
Il Paese, intanto, si avvia verso una legge uniforme sulle chiusure.
Le differenze tra i vaccini
I dubbi principali circa la possibilità di combinare due vaccini diversi è sulla tecnologia su cui questi si basano e sugli eccipienti diversi che contengono. Il vaccino AstraZeneca, come quello Johnson&Johnson, è a vettore virale, quelli di Pfizer e Moderna sono a mRNA: seppur in entrambi i casi venga stimolato il sistema immunitario per consentirgli di produrre anticorpi contro la proteina spike, il modo in cui questo stimolo avviene è differente.
In quelli Pfizer e Moderna, le informazioni necessarie vengono trasmesse sotto forma di mRNA: le informazioni sono veicolate in una capsula di lipidi che la cellula assembla ed espelle. Fatto questo procedimento, il sistema immunitario riconosce questa proteina e comincia la produzione degli anticorpi in grado di riconoscere il virus.
Nei vaccini a vettore virale, invece, l’informazione è contenuta sotto forma di DNA, che viene poi “trascritto” in mRNA e poi tradotto per generare la proteina spike: in questo caso, le informazioni sono veicolate nella cellula con un virus innocuo per l’uomo, e che ha le funzioni di “trasportatore”.
A parte il vaccino di Johnson&Johnson, tutti gli altri prevedono due dosi. Per i vaccini a mRNA il richiamo va effettuato a 21 giorni dalla prima somministrazione per Pfizer, per Moderna a 28 (ma si può estendere fino a 42). Per AstraZeneca, invece, il richiamo può essere effettuato dalle 4 alle 12 settimane successive alla prima somministrazione.
Ad avanzare dei dubbi sulla combinazione di due vaccini diversi, tra gli altri, era stato il professor Saad Omer (dell’Università di Yale) al New York Times, che aveva definito la vaccinazione ibrida “prematura”. La differenza di eccipienti, infatti, potrebbe non permettere il “collaudo” del sistema immunitaria in maniera efficace. Questo, però, prima dello studio di Oxford, che proverà a dimostrare il contrario.