L’Europa si è inchinata a Big Pharma sui vaccini anti-COVID. E adesso che si fa?
La strategia dell’Europa sui vaccini è un fiasco. Decidono le aziende farmaceutiche, senza conseguenze. È troppo tardi per cambiare?
La strategia dell’Europa sui vaccini contro il COVID-19 si sta rivelando un vero e proprio fiasco. Ne parliamo ormai da settimane, e non soltanto perché le aziende farmaceutiche che hanno messo a punto i vaccini – e con le quali la Commissione Europea ha stretto accordi già a partire dalla seconda metà dello scorso anno – non stanno consegnando le dosi promesse, ma perché i contratti negoziati a livello europeo danno alle aziende farmaceutiche tutto il potere.
La Commissione Europea ha messo i soldi e si è assicurata milioni e milioni di dosi di tutti i vaccini più promettenti, ma a livello contrattuale si è messa in ginocchio. E la maggior parte dei contratti firmati non sono ancora stati resi pubblici nonostante il Parlamento Europeo chieda da mesi la massima trasparenza sugli accordi raggiunti.
I ritardi nelle consegne delle dosi si accumulano di settimana in settimana – l’Italia è stata costretta ad interrompere e rallentare la campagna di vaccinazione per mancanza di dosi – c’è ben poco che l’UE possa fare o che sta facendo, se non chiedere ai Paesi membri di avere fiducia e non andare a cercare i vaccini altrove, senza il supporto dell’UE.
L’affondo dell’eurodeputata francese Manon Aubry diventa virale
In queste ore è diventato virale l’intervento dell’eurodeputata francese Manon Aubry, co-presidente del gruppo della Sinistra Unitaria Europea/Sinistra Verde Nordica, risalente allo scorso 10 febbraio. La giovane parlamentare europea in quattro minuti ha fatto a pezzi la gestione europea della campagna di acquisto dei vaccini, riassumendo in modo preciso e tagliente lì dove l’Europa ha fallito.
Come ha potuto la Commissione Europea accettare di inchinarsi così davanti alla case farmaceutiche? Nella gestione della strategia di vaccinazione ho la sensazione, signora Von der Leyen, che i grandi leader farmaceutici abbiano stabilito la legge per lei. Prima di tutto su trattative e contratti: non c’è chiarezza a tutti i livelli. Nessuna informazione sui negoziati nonostante le richieste del nostro Parlamento. Solo tre conti sono stati resi pubblici grazie alle pressioni dei nostri cittadini.
La pubblicazione di quei tre contratti, però, ha lasciato tutti con più dubbi di prima. Le informazioni più rilevanti, dai prezzi ai programmi di consegna e le clausole di responsabilità, sono state censurate.
Di fronte ai ritardi che si stanno accumulando, e che con una terza ondata pandemica che si preannuncia tanto violenta quanto la seconda con potenziali migliaia di vittime in tutta Europa, le istituzioni europee non hanno alcuna arma a disposizione, tanto che all’ultimo Consiglio Europeo anche il premier italiano Mario Draghi aveva sottolineato la necessità di non lasciare impunite le aziende farmaceutiche colpevoli di questi ritardi.
Aubry cita anche la delicata questione dei brevetti, che ad oggi rimangono nelle mani delle aziende farmaceutiche. E anche su questo aspetto la Commissione Europea resta a guardare.
La soluzione per i vaccini esiste, ma in Europa non vogliono sentirne parlare
I contratti sono stati firmati e su questi c’è ben poco da fare – l’Europa ha le mani legate e le aziende farmaceutiche hanno tutto il potere di decidere quante dosi distribuire in territorio europeo – se non adottare una strategia differente per i contratti che saranno posti in essere in futuro. C’è, però, qualcosa che l’Europa potrebbe fare e che non vuol fare: costringere i produttori dei vaccini, pubblici o privati che siano, a cedere le proprie proprietà intellettuali e permettere così a tutti i Paesi UE che ne abbiano le capacità di mettersi in moto per la produzione dei vaccini già approvati.
Il presidente della Fondazione Gimbe Nino Cartabellotta è tra i grandi sostenitori di questa strada: “Se ci sono ragioni importanti di salute pubblica, gli Stati possono chiedere o pretendere la licenza del farmaco per produrlo in grosse quantità. L’Italia, l’Europa, possono chiederlo. In un momento di grandi difficoltà bisognerebbe avere il coraggio di abolire i brevetti sui farmaci salvavita come i vaccini. E se non facciamo le cose alla svelta, rischiamo che qualche variante non sia più suscettibile al vaccino“.
È quello che sta succedendo. La diffusione delle varianti del virus è sempre più massiccia e il numero di quelle in grado di resistere almeno in parte ai vaccini è in aumento. Il tempo stringe, ma sembra la Commissione Europea non voglia cambiare strategia, chissà se anche a causa di quello che è scritto nei contratti e che nessuno può vedere e verificare.
Europa e caos sui vaccini. Serve una commissione d’inchiesta
Se gli strumenti esistono e la Commissione Europea insiste per non volerli utilizzare, non è forse il caso che la stessa Commissione venga messa davanti alle conseguenze di quella inazione? L’europarlamentare Aubry, a nome del gruppo Sinistra Unitaria Europea/Sinistra Verde Nordica, ha già chiesto la creazione di una commissione d’inchiesta sulle responsabilità della Commissione nel disastro che si è verificato e che, inevitabilmente, si verificherà.
I vaccini sono stati pagati con i soldi pubblici. E l’equazione dovrebbe essere semplice: denaro pubblico, contratti pubblici, brevetti di pubblico dominio.
In attesa che la Commissione Europea riprenda in mano le redini della situazione, o che certifichi il fallimento della strategia sui vaccini, il numero dei Paesi che hanno deciso di muoversi in modo autonomo per tutelare la salute dei propri cittadini è in crescita. Dopo quelli del blocco di Visegrad, è di poche ore fa la conferma che anche l’Austria e la Danimarca produrranno dosi di vaccino di seconda generazione per ulteriori mutazioni del coronavirus e lavoreranno insieme alla ricerca di opzioni di trattamento.
Qualcosa, intanto, si muove anche in Italia. Stamattina al Ministero dello Sviluppo Economico si è tenuto un vertice finalizzato proprio a capire le capacità dell’Italia nella produzione di vaccini contro il COVID.
Al termine dell’incontro che ha visto la partecipazione del presidente di Farmindustria Massimo Scaccabarozzi, del Presidente dell’AIFA Giorgio Palù e del commissario straordinario per l’emergenza COVID Francesco Paolo Figliuolo, è stato deciso che nel nostro Paese ci sono già le condizioni per avviare la fase dell’infialamento e finitura dei vaccini, mentre per la produzione dei componenti dei vaccini sarà necessario attendere la conclusione dell’iter autorizzativo da parte delle autorità competenti, in un tempo stimato di 4/6 mesi.