Le primule di Arcuri, storia di un fallimento annunciato
Il progetto del Commissario e di Boeri si è arenato ancor prima di iniziare. È rimasto solo il simbolo, ma dei padiglioni neanche l’ombra
Avrebbero dovuto simboleggiare la rinascita dell’Italia dopo la pandemia. Un’icona di speranza e di serenità, “un regalo generoso e stupendo” dell’architetto Stefano Boeri per traghettare il Paese verso una nuova normalità, quella pre-Covid. Le “primule” volute da Domenico Arcuri, i padiglioni a forma di fiore fatti apposta per le vaccinazioni – e progettati dall’architetto del Bosco Verticale di Milano – però, non hanno mai visto luce. Eppure, a metà dicembre, la campagna vaccinale era stata presentata proprio partendo dalle primule (scelte perché sono i primi fiori a rinascere dopo l’inverno): “Come dei fiori queste strutture sbocceranno nelle città italiane, si alimenteranno con la luce del sole e daranno un senso di grande serenità e fiducia“, disse il 13 dicembre, nella conferenza stampa di presentazione della campagna vaccinale, proprio Boeri, che citò tra le sue fonti di ispirazione anche Pier Paolo Pasolini e Andrea del Verrocchio. Arcuri, in maniera apparentemente più pratica, disse invece che i padiglioni sarebbero stati 300 nella prima fase e 1500 nella seconda. Con costi, però, inizialmente “non esattamente quantificabili“. Ma, sottolineò ancora Arcuri, “confidiamo che le aziende ci donino buona parte dei materiali“. La speranza era tutta racchiusa nello slogan della campagna: “L’Italia rinasce con un fiore“.
Come avevamo già sottolineato in questo pezzo, l’approccio “estetico” dell’Italia all’inizio della campagna di vaccinazione è stato un caso unico in Europa: in Germania, infatti, i centri erano già pronti ben prima dell’arrivo delle dosi. Senza primule, tulipani o margherite, ma semplicemente allestendo spazi speciali in strutture già esistenti, come hall aeroportuali, centri congressi, palazzetti dello sport. A Norimberga, per fare un esempio, erano stati anche realizzati dei centri mobili per vaccinare “a domicilio” le persone che non possono spostarsi, come i pazienti delle Rsa. In Italia posti del genere non mancano, dai centri per gli eventi alle fiere (quella di Milano, ricorderete, era stata trasformata in ospedale Covid durante la prima fase della pandemia), ma il Commissario straordinario per l’emergenza coronavirus ha deciso di puntare tutto sulle strutture a forma di primula, “smontabili e riassemblabili, come dei petali, energeticamente autosufficienti, realizzati con materiali naturali come il legno e i tessuti“.
Le critiche
Le alzate di sopracciglio al progetto del duo Arcuri-Boeri non sono mancate, sin da subito. In questo pezzo pubblicato su Art Tribune, Antonio Ottomanelli definiva – sin dal titolo – l’operazione primule “poco comprensibile”:
Credo che la riconversione di spazi abbandonati potesse essere una soluzione più equilibrata e rispettosa. E, se valutata in relazione ai contesti locali, in una prospettiva a lungo termine, alla luce delle profonde necessità di sviluppo infrastrutturale in ambito sanitario e non solo, avrebbe potuto addirittura essere una reale possibilità di rigenerazione e crescita sostenibile che doveva essere discussa.
Poco più di un mese dopo la presentazione del progetto, il 20 gennaio, viene pubblicato il bando da parte di Invitalia (la spa governativa a partecipazione del 100% del Ministero dell’Economia, di cui Arcuri è amministratore delegato), in cui vengono dati più dettagli sulle caratteristiche e sui costi dei padiglioni: 315mq, con pianta circolare di 20 metri di diametro, dal costo di 1300 euro al metro quadro più Iva. A sorprendere, poi, la scadenza praticamente immediata per presentare le offerte, fissata al 27 gennaio. In pratica, le aziende interessate avrebbero dovuto progettare il tutto in una settimana scarsa, con un mese di tempo – in caso di aggiudicazione – per realizzare e consegnare le primule, almeno 21 (una per regione) e fino a 1200. Un numero iniziale abbastanza lontano da quel 300 fissato per la prima fase; un numero massimo comunque inferiore al 1500 che Arcuri aveva in mente. A parte tutti i discorsi sulla fattibilità nei tempi stabiliti, si possono però tirare le somme sul costo dei padiglioni: circa 400mila euro ciascuno, tra gli 8 e i 9 milioni in totale per i primi 21. Carlo Quintelli, professore di Architettura all’Università di Parma, ha riassunto in maniera particolarmente efficace le criticità del progetto in un lungo post su Facebook: “Nonostante l’evidente velleità del progetto, i più o meno garbati inviti a lasciar perdere, le osservazioni tecniche negative che sono emerse attraverso i social non meno che in numerosi interventi sui media web e tradizionali, ebbene no, Arcuri senza risposta alcuna procede comunque. Un atteggiamento questo che preoccupa riguardo a chi riveste un ruolo di così straordinario potere decisionale, in termini di obiettivi e di spesa“.
Il no delle regioni e il piano Draghi
È della settimana scorsa, poi, la prima frenata delle Regioni. In breve: per Arcuri, le Regioni avrebbero dovuto nominare un membro della commissione che avrebbe scelto l’azienda vincitrice del bando. La prima risposta negativa è arrivata dal presidente della Campania, Vincenzo De Luca, che ha definito le primule “inutili”. Sulla stessa lunghezza d’onda anche i suoi colleghi, di tutti gli schieramenti. Nel frattempo, pare che il piano del nuovo Presidente del Consiglio, Mario Draghi, sia quello di creare dei centri vaccinali nelle strutture già esistenti, come fatto due mesi fa in Germania. E quindi via alle vaccinazioni in fiere, hangar, caserme: nell’Aeroporto di Fiumicino è stato già creato un hub apposito, a Verona le vaccinazioni degli ultraottantenni sono già partite in Fiera. La primula, quindi, rimarrà solo come simbolo dei centri in cui saranno somministrati i vaccini, ma i padiglioni non dovrebbero mai vedere la luce. Una perdita di tempo e di risorse che ha rallentato l’efficienza della campagna vaccinale, per di più in in una fase cruciale come questa, in cui varianti più contagiose sono in circolo ovunque e in cui è necessario, nel minor tempo possibile, immunizzare il numero più alto di persone.
Intanto, in Brasile, il Sambodromo da Marquês de Sapucaí ha abdicato (si spera solo per quest’anno) al ruolo di “cuore” del Carnevale di Rio, ed è diventato un enorme centro di vaccinazione. Al momento, in fila ci sono gli ultraottantenni in attesa di ricevere la propria dose. Nessun sabato grasso, ma auto in paziente attesa: quello sudamericano è il primo Paese per numero di nuovi positivi giornalieri, ed è tra i più colpiti in assoluto, con quasi 240.000 morti e 10 milioni di contagi.