Mafie e pandemia: XXVI giornata della memoria e dell’impegno
Il covid non ha fermato gli eventi in ricordo delle vittime innocenti di mafia. I dati di Libera: forte il rapporto tra economia, pandemia e mafie
Memoria, umanità, fiducia, consapevolezza e legalità. Sono queste le parole chiave del discorso del presidente della Repubblica Sergio Mattarella in occasione del 21 marzo, la XXVI Giornata nazionale della Memoria e dell’Impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie. La riflessione del Presidente è stata pubblicata sul sito del Quirinale.
La memoria è radice di una comunità. Fare memoria è condizione affinché la libertà conquistata continui a essere trasmessa e vissuta come un bene indivisibile. Ecco perché ricordare le donne e gli uomini che le mafie hanno barbaramente strappato alla vita e all’affetto dei loro cari, leggerne i nomi, tutti i nomi, non costituisce soltanto un dovere civico. È di per sé un contributo significativo alla società libera dal giogo oppressivo delle mafie, è affermazione di principi di umanità incompatibili con i ricatti criminali, è fiducia nella legalità che sola può garantire il rispetto dei diritti, l’uguaglianza tra le persone, lo sviluppo solidale.
EVENTI IN TUTTA ITALIA. DON CIOTTI: «SERVE CONDIVISIONE»
“A ricordare e riveder le stelle” è lo slogan scelto dall’associazione Libera contro le mafie per ricordare le vittime innocenti di mafia nel 2021. È in queste sei parole che risuona l’idea dell’inferno: quello dell’ultimo verso del libro Dantesco, a 700 anni dalla morte del Poeta; quello della pandemia e delle mafie in un anno di distanze, sofferenze e incremento dell’infiltrazione criminale nell’economia. Il 20 e il 21 marzo, in tutta Italia, si sono svolti centinaia di eventi caratterizzati dalla stessa struttura: la lettura, ad alta voce, dei nomi di uomini e donne uccisi dalla criminalità organizzata e dalla violenza. Ma è a Roma, all’Auditorium Parco della Musica, che ha avuto luogo l’evento principale. Qui Don Luigi Ciotti, fondatore di Libera, ha raccontato dell’esistenza di un pericolo crescente: quello della normalizzazione delle mafie e della corruzione.
Dobbiamo guardare alla sorgente di queste catastrofi, avere il coraggio di ammettere il fallimento. La lotta alle mafie e corruzione non è una questione da delegare solo agli addetti ai lavori cui va la nostra riconoscenza, forze dell’ordine, magistrati, prefetture. La repressione deve arrivare alla fine di un percorso.
È un pensiero «nuovo, radicale e rigeneratore» quello che deve accompagnare, secondo Don Ciotti, nella lotta alle mafie. E lo Stato non può essere assente. «Ci vuole continuità, condivisione e corresponsabilità. Siamo disposti a collaborare con le Istituzioni se fanno la loro parte, ma se non la fanno allora dobbiamo essere una spina nel fianco per chiedere ciò che è giusto».
LE MAFIE IN PANDEMIA
Pandemia e covid, un binomio forte. La crisi diventa per la criminalità organizzata un’occasione di guadagno: da un lato a causa dell’assenza di liquidità delle famigli e dei consumatori, che porta a cercare soluzioni veloci in un sistema di welfare che tenta di sostituirsi a quello dello Stato; dall’altro l’enorme vantaggio delle mafie rispetto allo Stato in termini di velocità ed esecuzione. Sono i dati a raccontarlo, come emerge dal rapporto di Libera La tempesta perfetta. Le mani della criminalità organizzata sulla pandemia, pubblicato il 30 novembre 2020.
Nei primi nove mesi del 2020 è aumento in modo esponenziale il numero di interdittive antimafia, i provvedimenti emessi dai Prefetti, a scopo preventivo, che attestano la sussistenza o meno di eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa nelle società al fine di condizionarne scelte e indirizzi. La media è stata, da gennaio a settembre, di sei interdittive al giorno: 1637 contro le 1540 del 2019, con un incremento del 6,3% (dati: ministero dell’Interno). Gli aumenti maggiori si sono registrati, secondo quanto riportato dal documento di Libera:
- in Emilia Romagna con +89% (218 interdittive nel 2020 vs le 115 nel 2019);
- in Campania, con +88%, passando dalle 142 interdittive del 2019 alle 268 del 2020;
- nelle Marche, da zero del 2019 alle dieci del 2020;
- in Sardegna, da zero interdittive del 2019 alle otto del 2020;
- in Trentino Alto Adige da zero a due interdittive.
Significativi poi i dati del Molise e della Toscana, passati il primo dalle sei interdittive del 2019 alle 28 del 2020 (+366%) e la seconda giunta nel 2020 a 26 interdittive nel 2020, contro le dieci nel 2019 (+160%).
L’incremento si è verificato anche in riferimento ai fenomeno dell’usura, in crescita del 6,5%. Si sono infatti registrati 98 episodi di denuncia nei primi sei mesi del 2020 rispetto ai 92 dello stesso periodo del 2019. Connesso è il dato che indica l’aumento del 4% di nuove imprese registrate come svolgenti attività finanziarie e assicurative, passando dalle 5334 nel 2019 alle 5556 nel 2020. «All’interno della categoria di imprese che svolgono attività finanziaria e assicurativa – si legge nel report – si collocano anche le agenzie di prestito su pegno e quelle che si occupano di prestiti personali al di fuori del sistema bancario; settori in cui potrebbero insinuarsi attività illegali». Gli incrementi maggiori si sono registrati nelle regioni del Sud, con +29% in Campania, +18% in Puglia, +17% in Calabria e +16% in Sicilia. Come ha dichiarato il ministro della Giustizia Marta Cartabia, esiste una
«forte preoccupazione, da un lato, per il rischio che i clan – con usura e racket – possano approfittare delle difficoltà economiche provocate in tanti dalla pandemia; dall’altro, per il pericolo di infiltrazioni nei miliardi del Recovery Fund. Gli investimenti non debbono rallentare, ma lo Stato deve vigilare con particolare attenzione per prevenire ogni speculazione. Lo dobbiamo a chi ha dato la vita contro le mafie».
Il tema è anche quello della sanità e dei guadagni illeciti che potrebbero derivare dalla produzione e distribuzione dei dispositivi di protezione individuale, ma soprattutto dal loro smaltimento. L’allarme era già stato lanciato a maggio 2020 dal procuratore aggiunto Alessandra Dolci, capo della Direzione distrettuale antimafia di Milano, in un’intervista a La Stampa.
«Estirpare le mafie è possibile e necessario. L’azione di contrasto comincia dal rifiuto di quel metodo che nega dignità alla persona, dal rifiuto della compromissione, della reticenza, dell’opportunismo», ha scritto il presidente Mattarella. Serve lo Stato e servono garanzie, fondi, sostegno a chi è in difficoltà economica. Ma serve soprattutto agire anche in via preventiva, educando al riconoscere e individuare il metodo mafioso. Lo diceva Paolo Borsellino: la lotta alla mafia non deve essere solo una distaccata opera di repressione, ma un movimento culturale e morale in grado di coinvolgere tutti. E che tutti abitui a «sentire il fresco profumo della libertà, che si contrappone al puzzo del compromesso morale, dell’indifferenza, della contiguità e quindi della complicità».