Perché nel Nunavut (Canada) il virus non è mai arrivato
Dalle comunità molto distanti tra di loro alle misure severe delle autorità locali: il caso del Nunavut (Canada), che non conosce il Covid-19
La curva dei contagi sta aumentando in molte parti del mondo e anche in diverse aree del Canada, eppure c’è una regione in cui il Covid-19 non è mai arrivato. Si tratta del Nunavut, che si trova nella parte settentrionale del Paese e che rappresenta una delle aree meno popolate del globo terrestre. La regione è finita al centro di una report della BBC proprio perché ad oggi non sono ancora stati registrati casi di coronavirus e i motivi sono molteplici. Il primo è quello insito nelle caratteristiche del territorio, che dicevamo appunto scarsamente popolato e di conseguenza propenso a favorire l’isolamento. Anche le misure delle autorità locali, però, hanno contribuito in maniera importante a tenere lontano il virus dalla popolazione.
Le autorità del Nunavut hanno sin da subito affrontato l’emergenza con norme molto severe. Mentre altrove venivano disposti i lockdown totali, nella regione del Canada veniva stilato nel mese di marzo un protocollo preciso e praticamente inattaccabile. Tra i capisaldi il divieto di ingresso nella regione di quasi tutti i non residenti. Chi era uscito dal territorio per spostarsi in altre aree del Canada o all’estero, al ritorno è stato costretto all’isolamento per due settimane in alcuni hotel pagati dal governo e sorvegliati giorno e notte dalle guardie nelle città di Edmonton, Ottawa, Winnipeg e Yellowknife. Stiamo parlando di veri e propri centri di isolamento o quarantena, attraverso i quali dall’inizio della pandemia sono passati circa 7mila abitanti del Nunavut.
Gli Inuit vulnerabili al Covid-19
Nonostante non ci siano mai stati casi di Covid-19, inoltre, l’uso delle mascherine è stato sin da subito obbligatorio e lo è ancora in tutto il territorio. La popolazione locale, infatti, per via dell’ambientazione artica, può essere particolarmente vulnerabile al virus. L’80% dei residenti, infatti, sono comunità Inuit particolarmente a rischio per una serie di fattori. In primis le condizioni abitative non proprio sicure e adeguate, che si associano alla tendenza al sovraffollamento degli ambienti e all’alta probabilità di contrarre la tubercolosi.
La tendenza al sovraffollamento è di fatto un controsenso considerata la densità della popolazione. Nel Nunavut, infatti, vivono circa 36mila persone suddivise in 25 comunità che si dividono qualcosa come 2 milioni di chilometri quadrati. Alcuni villaggi sono così lontani tra loro che gli spostamenti devono avvenire prevalentemente in aereo. È fin troppo evidente che in un contesto del genere il Covid-19 faccia particolarmente fatica a diffondersi, nonostante un leggero allenamento delle misure avvenuto negli ultimi tempi (consentiti alcuni spostamenti tra i villaggi).
Nunavut: punti di forza e debolezza
Attenzione, però, perché l’isolamento potrebbe rivelarsi un boomerang nel caso in cui dovesse esserci qualche caso di coronavirus. Proprio l’impossibilità ad effettuare i tamponi presso le comunità locali non è una buona notizia per l’eventuale contenimento dei contagi. Anche chi riesce a fare il test, le tempistiche per gli esiti risultano particolarmente lunghe. E non è tutto perché le strutture mediche non sono ovviamente all’avanguardia: basti pensare che l’ospedale della capitale del Nunavut, Iqaluit, dispone di 35 posti letto e in caso di focolaio di coronavirus potrebbe accogliere al massimo 20 pazienti. Gli altri dovrebbero essere trasportati in aereo presso altri ospedali. Insomma, quello che ha protetto fin qui il Nunavut dal virus, potrebbe rivelarsi un vero e proprio boomerang qualora dovesse arrivare il primo caso nella regione.